Nevica.
Lei avrà settantacinque, settantasei anni, e ha vistosamente l’Alzheimer, e probabilmente anche un principio di Parkinson, per come trema e per come parla.
Gli ha già chiesto una decina di volte ‘perché siamo qui?’, e altrettante ‘quando andiamo via?’.
Lui ha la barba lunga e gli occhiali, e una specie di passamontagna di quelli che si usano in campagna in questo periodo. Ha un libro di un autore che non avevo mai sentito, tale Marcello Simoni, che si intitola ‘Il mercante di libri maledetti’. Credo ne abbia letto effettivamente soltanto una pagina, massimo due, visto l’impegno e l’attenzione che lei richiede.
Ogni volta che lei ha chiesto, lui ha risposto con garbo e senza mai sembrare scocciato o irritato, e tutte le volte ha modificato leggermente la risposta, forse per uno strano meccanismo di autodifesa che ognuno sviluppa in modo differente. Chissà da quanto lei è a questo livello, e chissà per quanto ancora lui riuscirà a restare tranquillo e non sarà preso dallo sconforto.
Per ora però, per quello che si vede da fuori, per ciò che io vedo, lui sembra abbastanza forte e, soprattutto, ancora innamorato di lei.
Da giovani dovevano essere una bella coppia, sempre che stiano insieme da quando erano giovani, ovviamente.
A giudicare da quante volte lei ripete il suo nome però, credo di si, che si conoscano da molto.
Forse proprio per il suo nome provo una strana empatia nei suoi confronti, o per la barba lunga, o per il modo in cui la guarda e le risponde con serenità.
Forse mi ha colpito il libro, o non so cosa.
Magari, semplicemente, a volte mi piace inventare le vite di chi incontro sulla mia strada, e immaginarne lo splendore, e i problemi e ogni altra cosa possa essere accaduta loro.
Non è una cosa semplice da spiegare.
Si sono appena alzati e vanno via, la loro auto è pronta da ritirare. L’ha sollevata per un braccio, con delicatezza, e declinato la mia proposta d’aiuto facendo un cenno con la testa e aggrottando le sopracciglia in un sorriso di rifiuto cortese, anche se lei non sembrava spaventata da me. Si sono incamminati verso la porta dell’officina a passo lentissimo, con lei che ha chiesto l’ennesimo ‘dove siamo?’, guardandosi intorno.
Mi sono innamorato del loro stare insieme, nei pochi minuti che li ho visti starmi seduti accanto.
Di lei so solo che non ha più molte cose da raccontare, di lui, invece, che si chiama come me, Pietro.