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Per un tratto del percorso che porta a san Marco cammino di fianco ad una ragazza giapponese. So che è lo è perche tiene nella mano sinistra un piccolo vocabolario giapponese-italiano. La destra è impegnata a reggere una Leica con la custodia di pelle beige ed un obiettivo 35mm. Ha un’aria di una donna che conosco. Camminiamo di fianco per quasi mezz’ora. Di tanto in tanto lei guarda verso di me, ed io verso di lei. Ha degli occhiali da sole neri che non le mettono mai in mostra gli occhi. Le dita sono sottilissime, eppure la presa è sicura, senza che stringa sul vocabolario o sulla Leica. Ogni istante che passa mi sembra di conoscerla di più, o di averla già incontrata in passato. Cerco di scavare nei ricordi, e nel frattempo arriviamo alla piazza. Mi giro un secondo per guardare intorno. Nel mare di persone che affollano san Marco la perdo. Dieci minuti dopo è dietro un Casanova, proprio mentre io sto scattando. Faccio una foto anche a lei. È Aomame. Ne sono sicuro. Ma Tengo non c’è. Forse non si sono ancora incontrati, e stanno scappando entrambi dai Little People. O forse… No, non credo sia possibile. Per un attimo però, me ne convinco e la chiamo: Aomame?
Aomame?