Norvegesi
Ogni tanto guardo fuori dalla finestra dell’ufficio, il paesaggio che ho davanti non è il più bello tra quelli che questo posto è in grado di offrire, ma è comunque abbastanza gradevole. Una casa di legno bianca con una dépendance a una decina di metri, circondata da alberi e dalle foglie con i colori dell’autunno che – se la neve si scioglie – coprono il terreno tutto intorno. A destra della casa, quindi alla mia sinistra, inizia il bosco, e la stradina che qualche volta ho percorso di corsa, quando ancora il sole tramontava ad un orario che mi consentisse di avventurarmi fuori dai percorsi ciclabili convenzionali. Non che esistano zone pericolose qui, o almeno non sembra ne esistano, ma vorrei evitare di perdermi nel bosco al buio, credo non sarebbe piacevole lo stesso, anche se orsi e lupi non si vedono vicino al paese da un po’ – stando a quanto mi hanno raccontato i miei colleghi autoctoni. A sinistra della casa, poco oltre la strada 152, campagna a perdita d’occhio, con altre casette di legno bianche o rosse a indicare la presenza dell’uomo. Una ogni due o tre km, o giù di lì. Da una settimana circa stanno allargando la strada, che fino a poco tempo fa era quasi una strada secondaria e che pochi utilizzavano, per adattarla alle esigenze di quando, tra un paio d’anni al massimo, questo posto sarà il nodo centrale dell’Università di Oslo, visto che da quando lo scorso luglio hanno unito i due diversi Dipartimenti creando l’unico Dipartimento di Scienze della Vita, la gente è aumentata e si prevede continuerà ad aumentare, e di conseguenza anche il traffico. Non che si usino molto le automobili, qui. I mezzi pubblici funzionano. Effettivamente, potrei dimenticare l’orologio e sapere esattamente l’ora guardando l’autobus arrivare alla fermata. Quello delle 11.13 arriva alle 11.12 e aspetta un minuto anche se non c’è nessuno alla fermata. E alle 11.13 riparte. E così fanno quello delle 11.28, delle 11.43 e così via. Hanno tutti il GPS che rileva la loro posizione, e alle fermate il monitor ti dice il tempo che manca all’arrivo del successivo. Non tutte le fermate hanno i monitor, ma l’attesa tra un autobus e l’altro non supera i 15 minuti (reali), per cui si può star certi di poterne prendere uno a breve. Costano tantissimo, ma molto meno di quanto non costi avere un’auto o fare rifornimento. Sono strapieni di petrolio, in Norvegia. Anche l’altro giorno, alla tv, dicevano di un nuovo giacimento al largo di Tromsø, una delle città del nord in cui vorrei andare per cercare di vedere l’Aurora Boreale, che è uno dei miei grandi desideri tra le tante cose da fare in questo Paese incredibile. Il pensiero comune è che sì, il petrolio ha reso questa terra ricca, ma è anche destinato a terminare presto. Chi acquista una macchina la compra, spesso, elettrica. Esistono delle piccole auto elettriche che con un paio di euro fanno un centinaio di km, e ne esistono versioni super lussuose che costano come una Porsche e consumano in proporzione. Ma il mezzo d’elezione per gli spostamenti è la bicicletta. Ci sono bici ovunque, e più parcheggi per biciclette che per automobili. Si gira in bicicletta se il tempo è bello, se piove e se nevica (e ultimamente nevica, oh se nevica!). Se le ruote schizzano addosso un po’ di fango, nessuno ci baderà. Non gliene frega niente a nessuno se hai i vestiti in ordine, stirati in modo impeccabile e abbinati, oppure se hai i pantaloni pieni di macchie con l’estremità infilata dentro calze di due diversi colori e una felpa in pile con qualche buco. È un modo di vestire comodo, dicono loro, e tanto sei a lavoro, mica ad un matrimonio. Ecco, il lavoro. Si inizia alle 8.00 e si termina alle 16.00. Sono 8 ore, come da noi. Non esattamente, in realtà. Conta la produttività, non il tempo. Se riesci a fare le cose che devi in 3 ore, meglio. Puoi andare a casa o fare altro che non sia strettamente connesso col lavoro. Bisogna fare le cose senza stress, dicono, perché “è soltanto un lavoro, la vita è fuori dall’ufficio”. Ovviamente i primi giorni li guardavo come se fossero degli alieni, mi piazzavo al computer, scaricavo le cose da leggere, riempivo il quaderno degli appunti, cercavo di colmare il gap che ho in molte cose nei loro confronti, e non capivo come potessero essere tanto menefreghisti. Sì, menefreghisti. Errore più grande non potevo farlo.
Hanno capito tutto, i norvegesi, altroché.
Ås, Akershus, 27 novembre 2014.