Tusen Takk.
E’ il 28 marzo 2015 e sono le 10 del mattino circa. Io sono seduto al bar della stazione di Ås, una stazione molto piccola e ben curata che è un po’ il cuore di questa bella cittadina che è stata casa mia per diversi mesi. E’ l’ultimo caffè che bevo qui, tra venti minuti arriverà il mio treno per l’aeroporto di Oslo Gardermoen, dove prenderò il volo Norwegian DY4116 che mi porterà a Stoccolma. Il mio contratto scadrà il lunedì di pasquetta, ma ho deciso di approfittare del fatto che le vacanze pasquali qui durano come quelle natalizie e ho colto al volo la possibilità di visitare la capitale svedese. Mi hanno accompagnato Davide, un ragazzo italiano, e la sua fidanzata Rachel, statunitense. Entrambi lavorano alla NMBU, e aspettano un bambino che nascerà il prossimo aprile. Durante la mia permanenza qui ci siamo visti poche volte, ma è sempre stato piacevole scambiare quattro chiacchiere, e quando hanno saputo che sarei partito hanno insistito per potermi accompagnare e non dover fare tutta la strada a piedi con le valigie. Il caffè che servono alla stazione è uno dei migliori caffè che ho potuto bere qui in Norvegia. E’ lontano anni luce da un caffè come lo intendiamo noi italiani, ma è bevibile. Ho preso anche un waffle con la marmellata di fragole e il brunost, una specie di formaggio di capra (che in realtà non è formaggio) che fanno qui e di cui vanno molto fieri. Stamattina ho fatto una corsa per salutare la cittadina, sono arrivato al bosco dove qualche giorno fa ho incontrato le alci, ho preso la strada che passa dietro il campus e porta verso il lago e poi da lì sono ritornato verso casa passando per il centro. Il sole era appena sorto e mi sono goduto il fresco del mattino. Un paio di volte mi sono fermato a scattare qualche foto, c’è una luce incredibile quando albeggia che voglio ricordare una volta a casa. Con Davide e Rachel parliamo del tempo trascorso molto velocemente, di quanto ho avuto modo di imparare qui e di come cambierà la loro vita tra qualche mese, dei progetti futuri, del rivedersi un giorno; in Italia o in Norvegia ancora non si può sapere. Il treno arriva, abbraccio Davide, Rachel e con lei simbolicamente il loro futuro primogenito e salgo sul vagone. Appena il treno si muove sento una strana sensazione pervadermi. Sono felice di tornare a casa, ma so che questo posto magico mi mancherà. Alla stazione di Oslo compro una pasta danese con la crema bianca, una delizia per il palato che ho imparato ad amare nel lungo inverno norvegese, e che cercherò invano al mio ritorno in Italia. Mancano due ore al volo, deposito i bagagli e mi vado a cercare un posticino tranquillo in cui ricaricare il telefono e riposare un po’. Il caffè del bar dell’aeroporto è pessimo, ovviamente. Lo bevo comunque cercando di godermelo, e nonostante tutto per qualche strano motivo ne sento già la nostalgia. Il volo sul boeing 737 norwegian è di una qualità inattesa. Nonostante sia la compagnia “low cost” del Paese, il servizio è nettamente migliore a quello dei voli Alitalia che mi è capitato di prendere. Ogni sedile ha il monitor con le cuffie per guardare un film o ascoltare musica, lo stewart mi ha portato (senza che glielo chiedessi) dei biscotti al miele e un bicchiere di the caldo, dei tovagliolini ed un paio di fascette per i bagagli marchiate Norwegian Airlines. Dopo un’ora di volo atterriamo all’aeroporto di Arlanda, a circa 20 minuti di treno dalla stazione centrale di Stoccolma. Il mio hotel è, in realtà, una nave. Si chiama Malardrottningen ed è ancorato di fronte al palazzo comunale di Stoccolma (dove fanno le premiazioni del Nobel) sull’isola di Riddarholmen. L’ho scelto per due motivi: è praticamente al centro della città e soprattutto ho trovato un’offerta imperdibile, considerando i costi medi di un hotel da queste parti. Ovviamente, ma è una cosa che forse non c’è nemmeno bisogno di dire, ho studiato un po’ la mappa per poter correre e vedere il più possibile di questa capitale. Sistemate le mie cose in cabin… ehmmm… stanza, esco per fare una giretto e mangiare qualcosa per cena. C’è piuttosto freddo, anche se la temperatura è nettamente più alta rispetto a quella lasciata in Norvegia, soprattutto c’è una cosa che non ricordavo: l’umidità. I 3 gradi svedesi si fanno sentire molto più dei -10 norvegesi, a causa dell’umido. E’ anche vero che non potevo nemmeno pretendere di trovare un freddo secco in una città costruita su un arcipelago. Bene, faccio un primo giro del centro città, dicevo, mangio in un ristorantino una bistecca e delle patatine fritte e rientrando verso l’hotel prendo una cioccolata in un 7eleven. Alla reception la signorina mi spiega che ci sono lavori nella parte sud, per cui la pista ciclabile ad un certo punto si interrompe e dovrei fare circa 20 metri (venti, mica duecento) sul ciglio della strada. Sarebbe quindi meglio andare dall’altra parte e correre sulla pista verso nord. La ringrazio, programmo la sveglia e mi butto a letto. Non mi rendo nemmeno conto di aver lasciato accesa la luce, che il cellulare mi informa che è ora di alzarsi. Indosso il completo da corsa, metto i guanti, lo scaldacollo ed esco. Piove. Non è una pioggia fastidiosa, sembra quasi di stare dentro una nuvola o ad una nebbia fittissima, per cui parto in quello che dovrebbe essere (ed effettivamente sarà) il percorso più sicuro. Passo di fronte al palazzo comunale, talmente avvolto dalla nuvola bassa che non si vede la sommità del campanile, e mi ritrovo sul lungolago con delle barche coloratissime e dai nomi impossibili. Endomondo mi dice che ho fatto un km, e che sto andando ad una velocità (per me) davvero alta: 4’15”. Non mi capitava da un po’ di iniziare così veloce, forse perchè il primo tratto del percorso che facevo in Norvegia era sempre in salita, mentre qui c’è una leggera discesa lunghissima. Sono le 7 del mattino, ancora non è sorto il sole e c’è una luce fioca che annuncia l’alba che crea una incredibile atmosfera incantata. Mi sorprende vedere quanta gente ci sia che corre, e in quanti abbiano soltanto dei calzoncini e una maglia a manica lunga mentre a me si vedono solo gli occhi spuntare dai vestiti. Tra il secondo e il terzo km passo di fronte ad un parco in cui una moltitudine di uccelli marini sta ancora riposando, prima di riprendere la caotica vita di chi deve ogni giorno cercare di sopravvivere. C’è un bivio in cui non mi ricordo dove debba girare, so che mi devo tenere sulla parte sinistra del percorso, ma ci sono quattro possibili direzioni e non so se sia effettivamente quella all’estrema sinistra o la terza. Non ho tempo di pensare granchè, a meno di fermarmi, e prendo quella tutta a sinistra continuando sul fianco del parco. Faccio altri cinquecento metri e vedo davanti a me il ponte dell’Ulvsundasjön, la strada è quella giusta. Sulla parte centrale del ponte, alla mia sinistra, il sole è appena sorto, e sebbene Stoccolma sia avvolta dalle nuvole, la luce che arriva dall’est mi regala uno spettacolo mozzafiato. Un uomo sulla cinquantina che corre in direzione contraria alza la mano e mi sorride. Sto sudando, sono coperto di brina e qui sulla sommità del ponte tira un po’ di vento, per cui non mi fermo e continuo a correre. Appena arrivo alla fine del ponte Endomondo mi avvisa che ho percorso 5 km, mancano solo cinquecento metri per fermarmi e tornare indietro. Quando la voce elettronica mi avvisa che ho raggiunto i 5.5 km, mi accorgo che a meno di venti metri c’è un posto di blocco della polizia. Mi guardano un po’ storto, ma niente di più. Li capisco, sono vestito come un ninja e mi sono fermato a pochi metri da loro. Faccio dietrofront e ritorno verso il ponte. Il vento è calato, si sente ancora ma decido comunque di fermarmi per fare una foto. La luce ha invaso tutta la città ora, è una visione davvero spettacolare. Nel tratto di fronte al parco buona parte degli uccelli ha lasciato il prato e si è lanciata in acqua, la giornata di caccia è iniziata. All’arrivo in hotel mi meraviglio del tempo, ho corso poco più di 11 km a 4’05” di media, una roba per me davvero incredibile su una distanza del genere. La colazione dell’hotel è paradisiaca, l’offerta è davvero ricca ed io ho una fame incredibile. Mangio qualcosa come 3 pancakes con marmellata, pancetta, uova sbattute con formaggio, salsicce arrosto e altre prelibatezze. Sono pronto per affrontare la mia giornata da turista. La pioggia è aumentata, ma non mi perdo d’animo. Armato d’ombrello vado verso Gamla Stam, il quartiere storico di Stoccolma, poi visito il Vasamuseet, il museo con l’unica nave del XVII rimasta ancora intatta (affondata il giorno del varo), il Museo Nazionale e le altre “attrazioni” della zona. Al rientro, la sera, sono stanco morto, ma stavolta almeno ricordo di spegnere la luce. Al suono della sveglia mi preparo per la corsa quotidiana, oggi ho in programma di andare verso il lato sud-est, entrare nella parte antica della città e fare il percorso ciclabile che la signorina alla reception mi ha detto essere interrotto. Secondo la mappa, prima dell’interruzione dovrei aver fatto già 4 o 4.5 km, quindi andrebbe benissimo tornare poi indietro da quel punto. In realtà dopo nemmeno un km mi rendo conto che questo percorso, sulla mappa molto bello, è in effetti anche molto impegnativo, visto che c’è una nebbia fittissima e una salita non ripida ma molto lunga. Più o meno due km, per la precisione. Quasi non mi rendo conto, tanto fitta è la nebbia, di essere arrivato al ponte sul tratto Liljeholmsviken, da cui speravo di poter ammirare un bel panorama. Invece, sia a destra che a sinistra, si vede soltanto uno strato grigio di foschia. Continuo a correre e vado dritto sul percorso ciclabile. Anche stamattina incontro molti altri runners, e con la maggior parte ci scambiamo un saluto. Oggi nessuno ha soltanto i pantaloncini e una maglia, sono tutti ben protetti e dalle loro bocche, ad ogni respiro, viene fuori una calda nuvola di vapore. L’interruzione della pista ciclabile è davvero una cosa minima, decido di fare questi venti metri sul ciglio della strada, anche perchè non c’è praticamente traffico. I timori della signorina alla reception erano infondati, o forse è solo un altro (ennesimo) esempio di come gli scandinavi prendano sul serio le norme della strada. Poco prima del km 5.5 la pista finisce del tutto, e ritorno indietro verso l’hotel. La nebbia si sta diradando e un flebile sole è spuntato dietro le case. Mi pervade una strana malinconia, simile a quella che ho già provato qualche volta negli scorsi giorni, per questi luoghi tanto diversi da quelli che rivedrò una volta tornato a casa. Correre per queste strade, con queste temperature, guardare ogni giorno il sole sorgere e restare sempre basso all’orizzonte. Ormai ci avevo fatto l’abitudine, quasi come se fossero un punto imprescindibile della mia vita. Mancano un paio di km alla fine del percorso, e al semaforo rosso mi fermo. Stoccolma si sta svegliando, ci sono già un po’ di persone in giro e le macchine iniziano a vedersi passare sulle strade. Faccio una foto a questi bellissimi palazzi colorati di fronte al lago e la mando a casa. In hotel anche stamattina la colazione è all’altezza del mio appetito. Penso che abbiano segnato in rosso il mio nome come quello del cliente che ha consumato più pancakes in assoluto, e nel mio film mentale immagino che se dovesse esserci una prossima volta, non accetteranno la mia prenotazione qui. Al termine della colazione, con puntualità incredibile, riprende a piovere. Senza demordere dalle mie intenzioni, esco, coperto con un impermeabile trasparente comprato in uno dei tanti negozietti del centro città per una cifra spropositata (100 corone svedesi, poco meno di 11 euro). Voglio vedere il parco Bellevue al nord, l’osservatorio e soprattutto la biblioteca nazionale. E ovviamente voglio girare un po’ per fare gli acquisti di rito. Nonostante la pioggia, Stoccolma si conferma meravigliosa. Ogni tanto entro in una delle pasticcerie che trovo agli angoli delle strade. Sono tutte piccole e molto caratteristiche, e in tutte a servire al bancone c’è una ragazza. Non so se sia una scelta comune o un caso. La mia scelta, invece, è sempre la stessa. Pasta danese alla crema. Ad ogni morso, sento più forte quella sensazione di malinconia che mi ha pervaso già in precedenza per i posti che sto per lasciare. Trascorro la giornata girando da un capo all’altro della città senza una meta precisa, visitando i vari posti in programma e facendo lunghe pause nei centri commerciali per asciugarmi un po’ i piedi (piove davvero parecchio). Rientro in hotel che non sono nemmeno le 7 di sera, avevo preventivato di andare al cinema ma sono davvero troppo stanco. Google Fit dice che ho percorso circa 30 km oggi, ed in effetti sulle gambe li sento tutti. Punto tre sveglie, ho il treno per l’aeroporto alle 4 del mattino e non posso permettermi di non svegliarmi per tempo. Mi addormento appena sfioro il letto, e dormo un sonno profondissimo senza sogni, svegliandomi prima di sentire squillare il cellulare. Mi vesto, pago l’hotel e mi dirigo verso la stazione. Il treno è ovviamente puntualissimo, e arrivo in aeroporto con largo anticipo. Carico i bagagli, faccio i controlli e mi siedo per fare colazione al bar vicino ai gates. Gli ultimi minuti di volo sono terribili, ad Alghero c’è un vento molto forte e balliamo parecchio. Più di una persona all’atterraggio applaude, e stavolta forse il pilota li merita davvero. La mia avventura Norvegese è davvero terminata, ora. Un caro amico mi aspetta per accompagnarmi a casa. Suono il campanello, mia madre si affaccia sull’uscio e sul suo viso in pochi secondi l’espressione stupita si trasforma in un sorriso che le illumina il viso come una giornata d’estate. Non avevo detto a nessuno che sarei rientrato in anticipo. Tusen Takk, Norge.